Indaco, Sukumo e Shibori

e una piccola storia del “bleu de Gênes

Il BLU è un'altra delle sensazioni cromatiche di base condivise da tutta l'umanità. Il cielo in una bella giornata, grazie alla diffusione della luce, è blu, così come la vasta distesa del mare. Negli ultimi anni, gli astronauti hanno scoperto che la Terra stessa è una sfera blu che brilla nell'oscurità dello spazio. In molte culture diverse, il blu simboleggia l'infinito, il misterioso, il supremo. Psicologicamente parlando, il blu è l'opposto del rosso: un colore freddo, il colore della quiete. L'indaco utilizzato nella tintura fornisce alla maggior parte delle culture una scorta quasi inesauribile di blu. Si dice che in tutto il mondo esistano più di cinquanta specie di piante di indaco, tra cui sono ben note l'indaco indiano della famiglia delle leguminose e il guado della famiglia delle crocifere. l'indaco del Giappone deriva dalla pianta giapponese indaco, della famiglia delle poligonacee. In tutto il mondo, la scoperta della tintura con indaco risale all'epoca dei miti e delle leggende. È interessante notare che l'indaco non è mai stato proibito da un editto governativo, indipendentemente dalla tonalità o dal tono. Ciò è in contrasto con il rosso e il viola, che erano spesso proibiti perché vistosi e stravaganti.

In Giappone si credeva tradizionalmente che l'odore dell'indaco fosse efficace nel tenere lontani insetti e serpenti velenosi, e la tintura con indaco era una caratteristica indispensabile dell'abbigliamento giapponese quotidiano, abiti da lavoro come il cappotto corto noto come hanten, zanzariere, trapunte e altri articoli di uso quotidiano.

Probabilmente il blu del tessuto tinto con indaco era più ampiamente utilizzato di qualsiasi altro colore in Giappone. Lafcadio Hearn, che mise piede per la prima volta nel paese nel 1890, elenca tra le sue prime impressioni i noren indaco (corte tende a due ante) appesi sopra gli ingressi dei negozi, gli alti striscioni indaco che fungevano da pubblicità, il blu predominante degli abiti delle persone, i campi di indaco nelle basse colline pedemontane e il tessuto tinto con indaco steso ad asciugare davanti alle case private. Come dimostra questo, il Giappone prima del ventesimo secolo era effettivamente una nazione di tessuti tinti con indaco.[…]

(da The color of Japan - Sadao Hibi; traduzione dall’inglese)

L’ indaco di origine vegetale è stato utilizzato dai popoli di tutto il mondo fin dall’antichità, ma non tutti utilizzavano la stessa pianta. In diverse regioni del mondo si trovano piante indigofere diverse e ogni cultura era limitata nella scelta delle piante indigofere da ciò che cresceva nel proprio ambiente.

Nella prefettura di Tokushima, a causa delle condizioni climatiche di quel territorio, a partire dal periodo Edo (1603–1868) si sviluppò la tecnica di coltivazione di una pianta, l’Indigofera Tinctoria, appartenente alle Poligonacee, (polygonum tinctorium). Al giorno d’oggi, la bellezza e la struttura naturale dell’indaco naturale sono state rivalutate e la tradizione dell’indaco è stata tramandata di generazione in generazione grazie allo sforzo degli artigiani, che preservano e promuovono l’indaco giapponese.

Il motivo di un tale successo, oltre alle sue caratteristiche antibatteriche, sta nella straordinaria resa della tintura sul cotone. Esso crea un’infinita gamma di sfumature di Blu, dall’azzurro pallido, al colore del cielo, al blu intenso e profondo che quasi si avvicina al viola e al nero. E ogni sfumatura ha un suo nome che varia a seconda della permanenza nel liquido di tintura.

L’indaco è molto più di un semplice colorante - è una parte integrante della cultura e della storia giapponese. La sua produzione richiede pazienza, ma il risultato è un blu vellutato e unico nel suo genere che incanta e ispira. L’eredità dei maestri tintori di indaco continua a tramandarsi di generazione in generazione, preservando così una tradizione millenaria che porta con sé la magia e il mistero di questo straordinario colore blu.

Indaco e Genova

Esiste uno stretto legame storico tra l’indaco, la città di Genova e il Jeans. Genova era una delle principali potenze marittime del Rinascimento e dei secoli successivi e aveva un'importante rete di rotte commerciali che collegavano l'Europa con l'Oriente. L'indaco, che veniva utilizzato per tingere tessuti, era una delle merci importate dall'Asia in Europa. Con il suo porto Genova, fungeva da punto di transito per merci come l'indaco, che venivano poi distribuite in tutta Europa.

E così, nelle antiche botteghe intorno al porto di Genova, l'indaco era la principale tintura usata per tingere il tessuto robusto, che divenne noto come "jean" o "bleu de Gênes" (blu di Genova). La parola "jeans" proviene infatti da "Gênes", il nome francese della città di Genova. Il colore blu intenso derivato dall'indaco era particolarmente apprezzato per la sua resistenza e durabilità, caratteristiche che lo rendevano ideale per i tessuti destinati a un uso quotidiano, come gli abiti da lavoro e i vestiti per i marinai. Questo tessuto blu era il predecessore del moderno denim, e il nome "jeans" si è evoluto nel tempo per riferirsi a qualsiasi tipo di tessuto robusto simile a quello originario di Genova. Il termine "jeans" è quindi un riflesso dell'influenza storica di Genova sulla produzione di tessuti e sull'abbigliamento resistente.

Foto da sito: nakedandfamousdenim.com

Sukumo

Per ottenere la tintura indaco è necessario un lungo ed elaborato processo di fermentazione.

il Sukumo è il risultato di questo processo. Questo processo richiede quasi un anno intero e coinvolge diverse fasi, dalle piantagioni di indaco in primavera alla macinazione e fermentazione delle foglie in strutture chiamate “Nedoko” (letteralmente significa letto) dove avviene il primo processo di fermentazione. Viene spruzzata solo acqua sulle foglie ammucchiate (se ne preparano grandi quantità nell’ordine di centinaia di chilogrammi e diverse tonnellate) che fermentano sotto un meticoloso controllo della temperatura per circa 100 giorni prima di diventare il prezioso Sukumo.

Il Sukumo contiene i pigmenti del colore indaco racchiusi nelle foglie essiccate e fermentate. Questi pigmenti però non sono direttamente solubili in acqua e non possono essere utilizzati per la tintura così come sono. Per estrarli si prepara il Tino, nella tradizione, un grande contenitore di terracotta generalmente posto sottoterra con l’apertura superiore che rimane a livello del terreno. Immerse nell’acqua, le foglie di indaco devono essere mescolate con sostanze alcaline come calce e lisciva di cenere di legno, e fatte fermentare con il sake per una settimana sotto un’attenta osservazione  per rendere i pigmenti di colore indaco solubili in acqua. Una volta terminato il processo di fermentazione, quando si immerge il tessuto nella vasca, principalmente cotone, l’indaco si attacca alle fibre e quando lo si solleva dalla tintura, l’ossigeno dell’aria, ossida il tessuto che diventa blu proprio davanti ai tuoi occhi.

Questa è la magia dell’indaco!

Calore sviluppato dalla fermentazione. Credit photo post Facebook di Makiko Tokunaga  su Shibori Artists-- Japanese resist dye of textiles

Vasche che contengono il Sukumo pronto per la tintura in una fattoria giapponese

Shibori

Il cucito ha radici profonde nella storia umana, precedendo la filatura e la tessitura. Sin dai tempi del Paleolitico, l'uso di aghi grezzi fatti di osso, avorio o corna per unire materiali come pelle, pelliccia e corteccia indica lo sviluppo precoce di quest'abilità. Questa pratica si evoluta parallelamente alla civiltà umana, come dimostrato dai ritrovamenti di aghi di legno risalenti all'era Jomon in Giappone e dagli abiti di cotone indossati dalle popolazioni della valle dell'Indo nel 4000 a.C. Questi dati suggeriscono un avanzato livello di sviluppo delle abilità di cucito in quei tempi antichi. La scoperta delle antiche tecniche di tintura a riserva attraverso reperti archeologici ci porta a ipotizzare che tali tecniche abbiano avuto origine da semplici e creativi esperimenti. L'uso di bevande versate su tessuti accartocciati ha aperto la strada allo sviluppo di tecniche sempre più raffinate, che hanno influenzato e guidato la pratica contemporanea dello shibori in tutto il mondo.

SHIBORI è una parola giapponese usata per descrivere i modi di creare disegni sulla stoffa manipolandola prima della tintura. Shibori deriva dalla radice del verbo shiboru, "strizzare, spremere, premere".

La tecnica consiste nel legare o cucire il tessuto e immergerlo in un bagno di tintura, per creare motivi ornamentali. Esiste un’infinità di metodi con cui si può legare, cucire, piegare, attorcigliare o pressare il tessuto attraverso lo shibori e ognuno di essi restituisce un disegno diverso. È la combinazione dei punti utilizzati e la disposizione del tessuto a creare i disegni.

Il punto principale e di base utilizzato nello Shibori è il “punto a correre” o “Hikishime ”. Ma esistono moltissimi altri punti diversi, tra cui: “Mokume” (venature del legno); “Maki-Nui” (punto cucito); “Maki-age” (cucito e legato); “Karamatsu” (larice giapponese/cerchio a raggiera) e molti altri, ognuno con un proprio nome. La sua peculiarità principale è che sia una tecnica in cui il lavoro viene eseguito utilizzando solo l'abilità delle mani.

Con lo SHIBORI il tintore lavora con la molteplicità delle caratteristiche di ogni tessuto; quindi, si può dire che ogni tessuto, a seconda delle sue caratteristiche, può creare una tecnica Shibori diversa. Bisogna notare però che con lo Shibori l’elemento imprevisto è sempre presente.

Tutte le variabili che intervengono nella modellazione del tessuto e tutte le influenze che controllano gli eventi nella vasca di tintura concorrono per sottrarre parte del processo shibori al controllo umano. Un' analogia è quella di un ceramista che cuoce in un forno a legna. Tutte le condizioni tecniche sono state soddisfatte, ma ciò che accade nel forno può essere un miracolo o un disastro. Anche il caso e l'incidente danno vita al processo shibori, e questa è la sua magia speciale e il suo fascino più forte.

Per questo è sempre emozionante il momento in cui si slegano le cuciture dopo la tintura!

Non ultima caratteristica nell’applicazione di questa tecnica è la “presenza” necessaria in tutte le fasi della lavorazione che la fanno diventare una vera e propria forma di meditazione.

Anche in altre parti del mondo si è sviluppata questa tecnica. La tintura a riserva, che presenta queste caratteristiche, è nata spontaneamente anche in India, Cina, Perù, Indonesia e Africa. È stata trasmessa nelle regioni e nei paesi circostanti, si è sviluppata a seconda delle caratteristiche proprie dei suoi abitanti ed è stato tramandato fino ai giorni nostri.

La rinascita dell'estetica tradizionale dello shibori è stata un fenomeno interessante e significativo. L'interesse per quest'arte è stato rinnovato grazie al movimento di controcultura del “tie-dye” degli anni Sessanta. Negli anni '80 poi si è assistito a una rinascita dell'estetica tradizionale, quando le donne giapponesi hanno iniziato a praticare lo shibori come hobby e gli operatori tessili hanno ricercato le abilità originali.

Questo ha dimostrato quanto le tradizioni artistiche possano resistere alle influenze esterne e trovare nuova vita in contesti moderni.

Testi elaborati e scritti dalle fonti: Awa No Kusazome, Namida Iro - The Complete Japanese Tie-Dye, Hiroko Ando - Tecniche di tintura tradizionali Giapponesi, Asako Sakakibara - The color of Japan, Sadao Hibi - Fonti varie dal web. Riproduzioni stampe antiche dal web